Alla maniera di Wolff -

Non ricordai il mio primo bacio, in terza media, quando conquistai contemporaneamente l’attenzione del giovanissimo insegnante di break dance alla scuola di ballo che frequentavo e l’invidia di molte delle ragazzine che passavano i pomeriggi a guardare le sue lezioni con occhi languidi e che avrebbero sicuramente desiderato essere al mio posto.

Non ricordai il senso di libertà assoluta provato quando, nella mia amata Londra, decisi di prolungare di una settimana la vacanza studio, ospitata nella stanza di un’amica conosciuta alla scuola di lingue presso un college centralissimo, prima di seguire i miei programmi e trasferirmi per lavorare come au pair presso una famiglia libanese con due bambini che viveva al capolinea della Northern line.

Né ricordai tutte le volte che mi chiesi “perché l’ho fatto?” piangendo sul libro di Sociologia mentre preparavo il primo esame. Avevo 27 anni, avevo appena ripreso l’università, abbandonata a 21, e avevo tanta paura di un nuovo fallimento.

Non ricordai neppure l’attimo in cui compresi inequivocabilmente di possedere un senso materno, e pure bello profondo, la prima notte in ospedale dopo il taglio cesareo. Quando, sentendo la mia bambina piangere nella sua culletta infondo al letto, dopo aver chiamato più volte inutilmente l’infermiera, mi issai a sedere sul materasso singhiozzando, incurante dei punti di sutura, della paura e del dolore, raggiunsi Matilde riuscendo a prenderla in qualche modo fra le braccia e mi sdraiai con lei accanto nel tentativo di attaccarla al capezzolo per darle il nutrimento e il calore che stava richiedendo a gran voce.

Quello che ricordai in maniera lucida e tangibile fu la sensazione calda e accogliente della cucina dei miei genitori, la luce delle lampadine accese e il buio visibile fuori dalle finestre che occupavano la parete dell’attigua sala da pranzo. Ricordai mia madre che, in un momento di pausa dalle sue prove, aveva raggiunto la zia e me. Qualcuno aprì il frigo ed estrasse una confezione di salumi, impacchettata nella carta del salumiere migliore della città: papà aveva fatto la spesa, quel pomeriggio, comprando anche del lardo tagliato a fette. La mamma prese il pane fresco, e iniziammo tutte e tre a mangiare qualche bocconcino, fra una chiacchiera e l’altra. I bocconcini, col continuare delle chiacchiere, divennero panini interi, e al lardo si aggiunse del salame, e il piccolo spuntino divenne una vera e propria merenda in piedi.

Una fetta dopo l’altra, un morso dopo l’altro, raccontandoci il nulla con il sorriso negli occhi.