Alla maniera di Hopper

Lo aveva visto arrivare, con la sua macchina verde. Aveva parcheggiato proprio fuori dalla grande finestra della stanza.

Lei era arrivata già da un’ora: quel giorno era troppo agitata per riuscire a rinviare ancora, cercando di distrarsi mentre aspettava il momento giusto per mettersi in viaggio.

La mattina dopo avrebbero dovuto partire per la Corea, per prendere un primo contatto con quel Paese così lontano e diverso. Ma appena entrata nella stanza del motel aveva capito che non sarebbe mai riuscita a farlo davvero. Aveva appoggiato la valigia, si era seduta sul letto, e non si era più mossa.

Sapeva che lo avrebbe ferito, e lei per prima avrebbe dato qualunque cosa per evitare che ciò accadesse. Ma le era finalmente chiaro che proseguire non sarebbe stato possibile: lei non avrebbe mai lasciato le sue abitudini, il suo lavoro, la sua città per seguirlo all’altro capo del mondo. Lui non avrebbe mai dovuto rinunciare ad un’opportunità tanto importante.

Seduta, tenendosi in grembo le mani al contempo fredde e sudate, aveva iniziato a ripetersi mentalmente le parole con cui gli avrebbe comunicato non solo che non sarebbe partita, ma che la loro storia finiva lì.

La porta si aprì. Appena lui la vide, immobile, il sorriso luminoso che gli riempiva il viso si trasformò in una smorfia di sofferenza. Non serviva parlare: in un attimo che parve un’eternità, si girò e chiuse dietro di sé la sua vita per come era stata fino all’istante precedente.

Lei rimase lì, dove era restata per l’ultima ora, quasi pietrificata, continuando a guardare il punto in cui aveva visto sparire per sempre il suo grande amore.
Fuori la portiera si chiuse con un suono sordo e la macchina sgommò rombando mentre si allontanava.