Raccontare una stortura

Io ascolto. Ascolto tutti, e magari annuisco e do ragione. Non per circostanza (almeno, non sempre): capita che la mia parte razionale convenga su quanto è stato detto, sull’appropriatezza del suggerimento, sull’opportunità della reazione, sull’importanza del tema trattato.

Ma… Ma se non sento nello stomaco che qualcosa è giusto per me, allora non c’è ragione che tenga: io proseguo per la mia strada.

Per dire: a 19 anni ho venduto la mia macchina. Guidare non mi piaceva (quasi mi spaventava, in realtà) e proprio non mi sentivo portata. Muovendomi in treno e autobus riuscivo comunque a fare tutto quello che desideravo.

Quando parenti e amici mi dicevano “è importante che tu guidi” “senza macchina come fai?” “ci sono posti dove non arrivi in treno”, non potevo che dar loro ragione, e ci mancherebbe! Ma io non mi smuovevo. La macchina non era una mia priorità; anzi non era proprio un argomento di interesse! Ascoltavo, magari mi irrigidivo un pochino, in maniera appena appena percettibile, non rispondevo e lasciavo cadere il discorso appena possibile.

Poi, 6 anni dopo, un giorno in cui mi sono resa conto che non sarei riuscita a raggiungere il Lago di Garda senza trascorrere quasi un’intera giornata in pullman, ho sancito che la macchina serviva. Allora sono andata a sceglierne una usata dal concessionario, senza neppure provarla nel cortile, e il giorno della consegna me la sono andata a prendere da sola, guidando fino a casa. E non ho mai più smesso.

Ecco: questo atteggiamento vale per tutti gli ambiti della mia vita.

Alcuni disapprovano il fatto che io non controbatta adducendo i miei motivi: chi reputa si tratti di menefreghismo estremo, chi di forte debolezza.

In realtà non mi interessa, semplicemente, fornire un mio punto di vista. Posso – consapevolmente – non avere ragione nel mio incaponimento, ma proprio non mi è possibile agire in maniera diversa: io rispondo solo al comando del mio stomaco.


Mi chiamo Violante, ho 49 anni, e il mio grosso problema - la mia droga - sono le merendine. Vi viene in mente qualche cibo estremamente calorico e potenzialmente dannoso per la salute? Ecco: si trova sicuramente nella mia borsetta, in una bustina, lontano dagli occhi dei miei figli. Perché devo mantenere un minimo di credibilità quando a loro vieto quelle che, nascondendo la vergogna, definisco senza mezzi termini “schifezze”.

Snickers, Ferrero Rocher, orsetti gommosi, merendine: qualunque dolce va bene quando l’ansia mi prende lo stomaco, ed è come se un enorme buco si aprisse al suo interno lasciando al suo posto un vuoto rimbombante.

In quei momenti, nascondendomi nel bagno dell’ufficio o rincantucciandomi in qualche angolo poco frequentato in strada, mangio un dolcetto: lo stomaco torna al suo posto e l’ansia lentamente svanisce.

Ho la grande fortuna di essere molto magra: il mio metabolismo lavora alla grande, e io lo aiuto, nei giorni in cui i dolcetti sono più di 3 o 4, andando a correre. Corro cercando di lasciar scivolare via dal mio corpo, come avviene quando l’acqua della doccia si porta via la schiuma, le sostanze appiccicose e zuccherate che ho lasciato mi si appiccicassero addosso durante la giornata.

In segreto spero che scivoli via allo stesso modo anche un po’ della mia ansia.